Nel 45° anniversario della
Naksa, l’ex consulente dell’OLP e talpa dei Palestine Papers, Ziyad
Clot, sostiene che non accadrà mai che possa esistere uno Stato
Palestinese accanto a Israele.
di Max Blumenthal
Il mese scorso, migliaia di ebrei
israeliani hanno celebrato lo Yom Yerushalayim, o Giorno di Gerusalemme.
E’ stato il 45° anniversario di quello che molti israeliani considerano
la “riunificazione” di Gerusalemme, una occasione per buontemponi di
destra per cantare canzoni nazionaliste, scandire slogan anti-musulmani
ed esultare per l’omicidio di massa compiuto dall’estremista ebreo
Baruch Goldstein, mentre marciano trionfalmente attraverso il quartiere
musulmano della Città Vecchia. Oggi, i palestinesi commemorano il Giorno
della Naksa, che contrassegna la “Sconfitta” del 1967. E’ il 45°
anniversario dell’occupazione militare di Israele tuttora in atto, una
data ignominiosa che ispira le manifestazioni di rabbia in tutta la West
Bank, la Striscia di Gaza, nei campi profughi palestinesi e nelle città
di tutto il mondo.
Dato che l’occupazione tira per le lunghe, incoraggiando in tal modo
la rapida espansione delle colonie israeliane e il consolidamento del
regime dell’apartheid, il concetto di uno stato palestinese sovrano
sembra proprio questo – un’idea fantastica che cela l’opprimente realtà
sul terreno. L’Autorità palestinese, che è stata creata per amministrare
il futuro stato, oggi serve a poco più che per la distribuzione di
stipendi a una lunga lista di persone a carico, mentre mette a
disposizione di Israele un conveniente subappaltatore dell’occupazione
che arresta palestinesi non compiacenti e critici interni del suo
governo autoritario. Questi, dopo essere stati frammentati a seguito di
generazioni di espropriazioni e di colonizzazioni, poi divisi l’uno
dall’altro dal muro di separazione e dall’assedio di Gaza, per resistere
alle rapine dei coloni israeliani si trovano ad aver di fronte una
serie sempre più limitata di opzioni. Con le speranze in uno stato
reale, indipendente, quasi interamente infrante, si dibattono con
rinnovata intensità le questioni relative alle tattiche a breve termine e
gli obiettivi a lungo termine.
Mentre nella West Bank e a Gaza i palestinesi si sono preparati per
commemorare il Giorno della Naksa, in un caffè a Washington DC mi sono
incontrato con uno scrittore, ex consulente legale dell’OLP, di nome
Ziyad Clot. Nel Gennaio 2008, Clot è stato reclutato come consulente
dell’Unità di Supporto per i Negoziati dell’Autorità Palestinese, che
aveva il compito di sovrintendere l’archivio dei profughi palestinesi.
Fino al momento in cui si è dimesso costernato 11 mesi più tardi, Clot
ha dichiarato di essere stato testimone di una “iniziativa crudele” che
“aveva aggravato le politiche segregazioniste di Israele” e “aveva
comportato l’esclusione per la maggior parte della stragrande
maggioranza del popolo palestinese”. Nel 2010, con le immagini della
raccapricciante violenza di Israele sulla Striscia di Gaza che ancora
bruciavano nella sua memoria, Clot ha pubblicato nel suo paese natale,
la Francia, un testo polemico dal titolo provocatorio, che non è stato
tradotto ancora in inglese: “Il n’y aura pas d’Etat Palestinian”, o,
“Non ci sarà uno Stato Palestinese”.
Poco dopo l’uscita del libro, Clot ha fatto trapelare ad Al Jazeera
centinaia di documenti relativi al cosiddetto processo di pace, che
portano alla divulgazione dei Palestine Papers. Recepito con
escandescenze dai funzionari dell’AP, accolto da un inquietante silenzio
da parte del governo israeliano e rapidamente messo in ombra dalla
rivoluzione egiziana, il Palestine Papers è stato la conferma che
il processo di pace non era altro che una farsa crudele che ha
contrapposto un occupante implacabile a una entità palestinese non
rappresentativa vincolata a forze esterne antagoniste.
Nella nostra chiacchierata, Clot è andato oltre la sua critica del
processo di pace, fornendo indicazioni per rimettere in moto la passata
lotta palestinese, il cammino verso la statualità e l’esperimento
fallito dell’Autorità Palestinese.. Secondo Clot, priorità assoluta
della lotta dovrebbe essere quella di garantire la piena rappresentanza
da parte dell’OLP degli oltre 10 milioni di palestinesi che vivono in
tutto il mondo, un obiettivo che può essere raggiunto consentendo loro
di votare alle elezioni del Consiglio Nazionale Palestinese. Una volta
che gli esiliati e i profughi palestinesi si convincessero di avere un
interesse riguardo al futuro della Palestina, ha sostenuto Clot, i loro
contributi finanziari e culturali consentirebbero all’AP di liberarsi
dagli onerosi benefattori occidentali. Considerando che solo l’8% dei
palestinesi cacciati dalle abitazioni a causa dei combattimenti del 1967
ha avuto l’autorizzazione a ritornare in Palestina, il farli rientrare
nell’agone politico sembra un modo appropriato per porre rimedio alla
crisi determinata dalla Naksa.
Segue la mia intervista con Ziyad Clot:
MB : Chiarisci il titolo del tuo libro. Che cosa ti ha indotto a concludere che non ci sarà mai uno stato palestinese sovrano?
ZC : Oggi, la grande questione potrebbe essere perché mai dopo
45 anni di occupazione non c’è alcun stato sovrano. L’unico consiglio
che darei a chi se ne interessa è di guardare una mappa e di non
prendere in considerazione quelli che saranno gli ipotetici confini di
un futuro Stato palestinese e ammettere il fatto che le due popolazioni
sono frammiste sia in Israele che nella West Bank. A causa della
colonizzazione e il fatto che, a partire dal 1967, nessuno è stato
capace di fermarla, ora ci si trova in una situazione nella quale, non
c’è una sola collina della West Bank senza una colonia o un avamposto.
Come si fa a creare uno Stato palestinese reale in una situazione di
questo tipo e dove non c’è terra e acqua a sufficienza per realizzarlo?
Non è possibile. Pertanto tutti gli attributi di uno stato non ci sono
più. Gerusalemme è divenuta di fatto la capitale unificata di Israele e
ciò che mi ha realmente colpito quando mi trovavo là era l’enorme
divario tra i fatti sul terreno e ciò che è ancora in fase di
negoziazione in questo mondo parallelo che ha perso ogni contatto con la
realtà.
MB : Il Palestine Papers fornisce un ritratto dell’
Autorità Palestinese che a dir poco è fuori dal senso della realtà. Non
solo era disposta a negoziare la cessione della maggior parte di
Gerusalemme Est, essa sembrava psicologicamente distaccata dall’intera
situazione dei profughi. Come si può considerare questa mancanza di
considerazione?
ZC : Loro [i funzionari dell’AP] vivono e negoziano in una
situazione di occupazione. Per noi è facile dire che cedono e sono
disponibili a qualsiasi compromesso e che tutte le linee rosse sono
state superate – e questa è la mia convinzione personale – ma devono far
fronte a così tanti vincoli e ostacoli che nel corso degli anni hanno
perso il contatto con gli esiliati, poi con i profughi, poi con Gaza e
ora, a causa del muro, con Gerusalemme Est; così sono rimasti in questa
piccola enclave che cercano di amministrare pur in assenza di una
completa sovranità. In tal modo, nel corso degli anni, hanno
interiorizzato questi vincoli e si sono abituati al discorso che è
accettabile per l’Occidente. A causa della struttura dell’AP e delle
modalità di finanziamento sono tenuti a rispondere più nei confronti dei
donatori internazionali, che del popolo palestinese. Questo spiega
perché i ponti tra i palestinesi non esistono più. Se c’è un settore nel
quale i palestinesi dovrebbero concentrarsi maggiormente è quello della
rappresentanza. Dato che il processo di pace è divenuto irrilevante, a
questo punto è molto più importante la questione di chi rappresenta i
palestinesi e il modo in cui vengono rappresentati.
MB : Di recente, il politico israeliano e figura istituzionale del
processo di pace, Yossi Beilin, ha sollecitato Mahmoud Abbas a chiudere
con l’Autorità Palestinese. Ha perfino usato il tuo medesimo
linguaggio, chiamando il processo di pace “una farsa”. Concordi che l’AP
dovrebbe essere sciolta e, in caso affermativo, che cosa ne verrà dopo?
ZC : Smantellare l’AP è una richiesta ardua perché ci sono
tanti interressi coinvolti. Se si dovesse dismettere domani, gran parte
della West Bank verrebbe lasciata senza reddito. Quindi è una decisione
politica da prendere di eccezionale importanza. Si deve considerare
anche che l’occupazione israeliana è più brutale di quella che i
palestinesi stanno subendo con l’AP, per cui si vuole davvero affrontare
direttamente l’occupazione? Se l’obiettivo a lungo termine è la
realizzazione dei diritti dei palestinesi e l’autodeterminazione, allora
è preferibile. A breve termine, tutto ciò significherà un sacco di
sofferenza. I palestinesi sono pronti a questo? Penso di no. Quindi, per
dirla semplicemente: queste gravi questioni devono essere decise dai
palestinesi. Spetta a loro decidere se questo stato è realizzabile. In
caso contrario, le varie opzioni dovranno essere presentate a loro.
Purtroppo, per la mancanza di questa rappresentanza, tutto ciò è
impossibile. Ecco perché penso che priorità assoluta dovrebbe spettare
alla ristrutturazione dell’OLP. Nel breve termine, la seconda priorità
dovrebbe essere quella di preservare l’umanità dei palestinesi che
stanno patendo una sofferenza di massa – in particolare la popolazione
di Gaza – perché una soluzione politica potrebbe essere molto lontana.
MB : Quali misure specifiche potrebbero essere impiegate per proporre una rappresentanza dell’intero popolo palestinese?
ZC : Si dovrebbe consentire a tutti i palestinesi di votare
per le elezioni del Consiglio Nazionale Palestinese – si dovrebbero
coinvolgere tutti i 10 milioni di palestinesi e ogni voce dovrebbe
essere ascoltata. Questo è notevole vantaggio per i palestinesi. Al di
fuori dei territori ci sono forti comunità. Se si vogliono usare come
una risorsa sia economica, che politica e culturale, devi offrire loro
la possibilità di essere rappresentati. Il problema con l’AP non è la
mancanza di risorse finanziarie – ci sono un sacco di palestinesi ricchi
al di fuori. E allora ci si deve chiedere perché l’Occidente scrive le
garanzie senza ritenere mai gli israeliani responsabili di nulla. Ai
palestinesi ricchi sarebbe più facile contribuire, ma purtroppo non si
riconoscono quali attori che abbiano una rappresentanza in Palestina.
Nonostante tutte le differenze interne, si deve stabilire una struttura
che consenta a tutte queste persone di essere ascoltate.
Questo articolo è riportato originariamente su Al Akhbar in inglese.
(tradotto da mariano mingarelli)
[In Italia, il libro di Ziyad Clot è edito dalla ZAMBON Ed. con il titolo “Non ci sarà uno Stato Palestinese”]