martedì 14 agosto 2012

“Non ci sarà uno Stato Palestinese” – Intervista con Ziyad Clot, la talpa dei “Palestine Papers”



Nel 45° anniversario della Naksa, l’ex consulente dell’OLP e talpa dei Palestine Papers, Ziyad Clot, sostiene che non accadrà mai che possa esistere uno Stato Palestinese accanto a Israele. 
di Max Blumenthal
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Il mese scorso, migliaia di ebrei israeliani hanno celebrato lo Yom Yerushalayim, o Giorno di Gerusalemme. E’ stato il 45° anniversario di quello che molti israeliani considerano la “riunificazione” di Gerusalemme, una occasione per buontemponi di destra per cantare canzoni nazionaliste, scandire slogan anti-musulmani ed esultare per l’omicidio di massa compiuto dall’estremista ebreo Baruch Goldstein, mentre marciano trionfalmente attraverso il quartiere musulmano della Città Vecchia. Oggi, i palestinesi commemorano il Giorno della Naksa, che contrassegna la “Sconfitta” del 1967. E’ il 45° anniversario dell’occupazione militare di Israele tuttora in atto, una data ignominiosa che ispira le manifestazioni di rabbia in tutta la West Bank, la Striscia di Gaza, nei campi profughi palestinesi e nelle città di tutto il mondo. 

Dato che l’occupazione tira per le lunghe, incoraggiando in tal modo la rapida espansione delle colonie israeliane e il consolidamento del regime dell’apartheid, il concetto di uno stato palestinese sovrano sembra proprio questo – un’idea fantastica che cela l’opprimente realtà sul terreno. L’Autorità palestinese, che è stata creata per amministrare il futuro stato, oggi serve a poco più che per la distribuzione di stipendi a una lunga lista di persone a carico, mentre mette a disposizione di Israele un conveniente subappaltatore dell’occupazione che arresta palestinesi non compiacenti e critici interni del suo governo autoritario. Questi, dopo essere stati frammentati a seguito di generazioni di espropriazioni e di colonizzazioni, poi divisi l’uno dall’altro dal muro di separazione e dall’assedio di Gaza, per resistere alle rapine dei coloni israeliani si trovano ad aver di fronte una serie sempre più limitata di opzioni. Con le speranze in uno stato reale, indipendente, quasi interamente infrante, si dibattono con rinnovata intensità le questioni relative alle tattiche a breve termine e gli obiettivi a lungo termine. 
Mentre nella West Bank e a Gaza i palestinesi si sono preparati per commemorare il Giorno della Naksa, in un caffè a Washington DC mi sono incontrato con uno scrittore, ex consulente legale dell’OLP, di nome Ziyad Clot. Nel Gennaio 2008, Clot è stato reclutato come consulente dell’Unità di Supporto per i Negoziati dell’Autorità Palestinese, che aveva il compito di sovrintendere l’archivio dei profughi palestinesi. Fino al momento in cui si è dimesso costernato 11 mesi più tardi, Clot ha dichiarato di essere stato testimone di una “iniziativa crudele” che “aveva aggravato le politiche segregazioniste di Israele” e “aveva comportato l’esclusione per la maggior parte della stragrande maggioranza del popolo palestinese”. Nel 2010, con le immagini della raccapricciante violenza di Israele sulla Striscia di Gaza che ancora bruciavano nella sua memoria, Clot ha pubblicato nel suo paese natale, la Francia, un testo polemico dal titolo provocatorio, che non è stato tradotto ancora in inglese: “Il n’y aura pas d’Etat Palestinian”, o, “Non ci sarà uno Stato Palestinese”. 
Poco dopo l’uscita del libro, Clot ha fatto trapelare ad Al Jazeera centinaia di documenti relativi al cosiddetto processo di pace, che portano alla divulgazione dei Palestine Papers. Recepito con escandescenze dai funzionari dell’AP, accolto da un inquietante silenzio da parte del governo israeliano e rapidamente messo in ombra dalla rivoluzione egiziana, il Palestine Papers è stato la conferma che il processo di pace non era altro che una farsa crudele che ha contrapposto un occupante implacabile a una entità palestinese non rappresentativa vincolata a forze esterne antagoniste. 
Nella nostra chiacchierata, Clot è andato oltre la sua critica del processo di pace, fornendo indicazioni per rimettere in moto la passata lotta palestinese, il cammino verso la statualità e l’esperimento fallito dell’Autorità Palestinese.. Secondo Clot, priorità assoluta della lotta dovrebbe essere quella di garantire la piena rappresentanza da parte dell’OLP degli oltre 10 milioni di palestinesi che vivono in tutto il mondo, un obiettivo che può essere raggiunto consentendo loro di votare alle elezioni del Consiglio Nazionale Palestinese. Una volta che gli esiliati e i profughi palestinesi si convincessero di avere un interesse riguardo al futuro della Palestina, ha sostenuto Clot, i loro contributi finanziari e culturali consentirebbero all’AP di liberarsi dagli onerosi benefattori occidentali. Considerando che solo l’8% dei palestinesi cacciati dalle abitazioni a causa dei combattimenti del 1967 ha avuto l’autorizzazione a ritornare in Palestina, il farli rientrare nell’agone politico sembra un modo appropriato per porre rimedio alla crisi determinata dalla Naksa. 
Segue la mia intervista con Ziyad Clot: 
MB : Chiarisci il titolo del tuo libro. Che cosa ti ha indotto a concludere che non ci sarà mai uno stato palestinese sovrano? 
ZC : Oggi, la grande questione potrebbe essere perché mai dopo 45 anni di occupazione non c’è alcun stato sovrano. L’unico consiglio che darei a chi se ne interessa è di guardare una mappa e di non prendere in considerazione quelli che saranno gli ipotetici confini di un futuro Stato palestinese e ammettere il fatto che le due popolazioni sono frammiste sia in Israele che nella West Bank. A causa della colonizzazione e il fatto che, a partire dal 1967, nessuno è stato capace di fermarla, ora ci si trova in una situazione nella quale, non c’è una sola collina della West Bank senza una colonia o un avamposto. Come si fa a creare uno Stato palestinese reale in una situazione di questo tipo e dove non c’è terra e acqua a sufficienza per realizzarlo? Non è possibile. Pertanto tutti gli attributi di uno stato non ci sono più. Gerusalemme è divenuta di fatto la capitale unificata di Israele e ciò che mi ha realmente colpito quando mi trovavo là era l’enorme divario tra i fatti sul terreno e ciò che è ancora in fase di negoziazione in questo mondo parallelo che ha perso ogni contatto con la realtà. 
MB : Il Palestine Papers fornisce un ritratto dell’ Autorità Palestinese che a dir poco è fuori dal senso della realtà. Non solo era disposta a negoziare la cessione della maggior parte di Gerusalemme Est, essa sembrava psicologicamente distaccata dall’intera situazione dei profughi. Come si può considerare questa mancanza di considerazione? 
ZC : Loro [i funzionari dell’AP] vivono e negoziano in una situazione di occupazione. Per noi è facile dire che cedono e sono disponibili a qualsiasi compromesso e che tutte le linee rosse sono state superate – e questa è la mia convinzione personale – ma devono far fronte a così tanti vincoli e ostacoli che nel corso degli anni hanno perso il contatto con gli esiliati, poi con i profughi, poi con Gaza e ora, a causa del muro, con Gerusalemme Est; così sono rimasti in questa piccola enclave che cercano di amministrare pur in assenza di una completa sovranità. In tal modo, nel corso degli anni, hanno interiorizzato questi vincoli e si sono abituati al discorso che è accettabile per l’Occidente. A causa della struttura dell’AP e delle modalità di finanziamento sono tenuti a rispondere più nei confronti dei donatori internazionali, che del popolo palestinese. Questo spiega perché i ponti tra i palestinesi non esistono più. Se c’è un settore nel quale i palestinesi dovrebbero concentrarsi maggiormente è quello della rappresentanza. Dato che il processo di pace è divenuto irrilevante, a questo punto è molto più importante la questione di chi rappresenta i palestinesi e il modo in cui vengono rappresentati. 
MB : Di recente, il politico israeliano e figura istituzionale del processo di pace, Yossi Beilin, ha sollecitato Mahmoud Abbas a chiudere con l’Autorità Palestinese. Ha perfino usato il tuo medesimo linguaggio, chiamando il processo di pace “una farsa”. Concordi che l’AP dovrebbe essere sciolta e, in caso affermativo, che cosa ne verrà dopo? 
ZC : Smantellare l’AP è una richiesta ardua perché ci sono tanti interressi coinvolti. Se si dovesse dismettere domani, gran parte della West Bank verrebbe lasciata senza reddito. Quindi è una decisione politica da prendere di eccezionale importanza. Si deve considerare anche che l’occupazione israeliana è più brutale di quella che i palestinesi stanno subendo con l’AP, per cui si vuole davvero affrontare direttamente l’occupazione? Se l’obiettivo a lungo termine è la realizzazione dei diritti dei palestinesi e l’autodeterminazione, allora è preferibile. A breve termine, tutto ciò significherà un sacco di sofferenza. I palestinesi sono pronti a questo? Penso di no. Quindi, per dirla semplicemente: queste gravi questioni devono essere decise dai palestinesi. Spetta a loro decidere se questo stato è realizzabile. In caso contrario, le varie opzioni dovranno essere presentate a loro. Purtroppo, per la mancanza di questa rappresentanza, tutto ciò è impossibile. Ecco perché penso che priorità assoluta dovrebbe spettare alla ristrutturazione dell’OLP. Nel breve termine, la seconda priorità dovrebbe essere quella di preservare l’umanità dei palestinesi che stanno patendo una sofferenza di massa – in particolare la popolazione di Gaza – perché una soluzione politica potrebbe essere molto lontana. 
MB : Quali misure specifiche potrebbero essere impiegate per proporre una rappresentanza dell’intero popolo palestinese? 
ZC : Si dovrebbe consentire a tutti i palestinesi di votare per le elezioni del Consiglio Nazionale Palestinese – si dovrebbero coinvolgere tutti i 10 milioni di palestinesi e ogni voce dovrebbe essere ascoltata. Questo è notevole vantaggio per i palestinesi. Al di fuori dei territori ci sono forti comunità. Se si vogliono usare come una risorsa sia economica, che politica e culturale, devi offrire loro la possibilità di essere rappresentati. Il problema con l’AP non è la mancanza di risorse finanziarie – ci sono un sacco di palestinesi ricchi al di fuori. E allora ci si deve chiedere perché l’Occidente scrive le garanzie senza ritenere mai gli israeliani responsabili di nulla. Ai palestinesi ricchi sarebbe più facile contribuire, ma purtroppo non si riconoscono quali attori che abbiano una rappresentanza in Palestina. Nonostante tutte le differenze interne, si deve stabilire una struttura che consenta a tutte queste persone di essere ascoltate. 
Questo articolo è riportato originariamente su Al Akhbar in inglese. 
(tradotto da mariano mingarelli) 
[In Italia, il libro di Ziyad Clot è edito dalla ZAMBON Ed. con il titolo “Non ci sarà uno Stato Palestinese”]