domenica 17 giugno 2012

[BSA NAZIONALE] Chi fa da sè fa per tutti. Campi autorganizzati della bassa emiliana


Da più di tre settimane la bassa emiliana è costellata di accampamenti, centinaia di piccoli e grandi agglomerati di tende, camper, furgoni dove la gente vive perché non può o non vuole rientrare in casa. Le scosse del terremoto continuano, molte case sono state dichiarate inagibili, molte altre restano comunque vuote perché la gente ha paura di nuove scosse. 
A Cavezzo, S. Possidonio, Concordia, Mirandola, Finale Emilia, Reggiolo, numerosi campi della Protezione Civile e della Croce Rossa dispiegano la loro struttura “chiusa”, con le tendone blu in fila e le recinzioni tutto intorno. Nel frattempo a Fossoli, Carpi, Motta, S. Felice sul Panaro e in generale nella provincia di Modena, centinaia di altri campi spontanei e autogestiti ripartono da zero, evolvono in processi di auto-organizzazione e sperimentano nuove forme di socialità.

Libera Repubblica di Fossoli
Nel campo da calcio del Centro Sportivo di Fossoli alcune famiglie hanno piantato le tende dopo le forti scosse del 29 Maggio. In queste zone la Protezione Civile non è mai arrivata. Ci siamo capitati circa 10 giorni fa, durante un’esplorazione della “volante rossa”, i giri di monitoraggio che facciamo ogni giorno tra i paesi della zona per raggiungere chi non ha ancora alcun servizio. “Avete bisogno di qualcosa? In quanti siete?”, così è partita un’iniziale distribuzione di generi di prima necessità e tra uno scatolone e l’altro si è iniziato a parlare con la gente, a capire le necessità reali e ad essere presenti. Giorno dopo giorno si è creato un legame di solidarietà attiva e collaborazione che ad oggi è diventato un campo di 220 persone, italiani e stranieri, che vivono in completa autogestione con il nostro supporto. 
Il Comune concede lo spazio e collabora al reperimento di materiali e strutture dimostrandosi molto disponibile, mentre la CRI fornisce i pasti per tutti. La distribuzione dei pasti è gestita da noi e dalla popolazione, così come la zona mensa e le altre aree comuni dove a poco a poco una nuova socialità emerge e diventa assunzione collettiva. Dopo il terremoto molti emiliani hanno scoperto i nomi dei propri vicini di casa, si sono trovati a dividere spazi e servizi con chi fino al giorno prima era solo una faccia da salutare da lontano. E’ come se all’improvviso si fossero sparigliate le carte territoriali, convertendo destinazioni d’uso di edifici e strutture, ribaltando i luoghi della vita privata e pubblica: la gente abita fuori dalle case, mentre le amministrazioni e gli enti delineano nuovi spazi di vita collettiva; il centro dei paesi è zona rossa, il verde intorno è campo base, tutti insieme.

Dove la solidarietà e gli aiuti sono paritetici, dove i campi si organizzano a misura d’uomo e con il giusto spazio per le diversità, si creano luoghi in cui si fa da sé ma si fa per tutti. Al campo di Fossoli c’è uno spaccio popolare, dove quasi ogni giorno arrivano furgoni di materiali raccolti in tantissime città vicine o lontane, anche grazie alla collaborazione con altre realtà, associazioni, collettivi, centri sociali. Sveglia alle 6 per le colazioni, si sistemano i prodotti sugli scaffali e si apre lo spaccio. Al centro del campo da calcio c’è la tenda ludoteca, mentre nell’area mensa si svolgono attività ricreative e di intrattenimento, come lo spettacolo di Al(katraz) e Al(bicocca), due giocolieri arrivati da Belluno per far ridere adulti e bambini. Le psicologhe ed educatrici, contattate dal Comune su nostra richiesta per avviare un progetto estivo di ricreazione gratuito, ci dicono che l’atmosfera è sorprendentemente serena. Rimangono piacevolmente colpite dall’entusiasmo dei bambini che si divertono quando chiamiamo l’assemblea di campo, tutte le sere alle 22. Ci si confronta per aggiornarsi sugli aspetti organizzativi, discutere dei problemi e trovare soluzioni. Man mano che passano i giorni si ragiona meno di convivenza e rispetto, si assume che il problema della sicurezza e delle violazioni delle regole non si supera aumentando i controlli e introducendo sanzioni, ma vivendo il campo giorno per giorno e facendosi protagonisti delle sue dinamiche.
L'esperienza di Fossoli ci regala il valore dell’autodeterminazione, il senso delle relazioni di socialità e cooperazione come risorsa e processo, una ricchezza che si crea qui ed ora ma che potrà valere ancora, anche al di là dell’emergenza terremoto. 
 
 A Carpi l’aggregazione multiculturale
Al centro polisportivo comunale di via Sigonio il custode ci apre la stanza adibita a magazzino di raccolta e distribuzione materiali. In questo centro sono accampate circa 100 persone, alcuni italiani e moltissimi tra pakistani, marocchini, tunisini, algerini. Il custode ci dice che a Carpi non ci sono stati gravi danni, il terremoto ha buttato giù qualche comignolo, ha danneggiato il duomo e i merli del castello. Dice che le case sono agibili ma la gente non vuole rientrarci per paura, “prima o poi dovranno andarsene da qui”.
Una donna algerina si trova qui con il marito e la figlia quindicenne. Ci racconta che abitava in affitto a Carpi e che la sua casa è stata dichiarata agibile. “Ci hanno detto di rientrare nelle case, a tutti noi stranieri”, dice. Ma le scale del suo appartamento sono aperte, sul soffitto delle stanze ci sono quattro grosse crepe, non si fida a rientrare. Il terremoto ha danneggiato anche l’albergo dove lavorava, 12 ore al giorno con un contratto da 20 ore settimanali. La padrona di casa non può avviare i lavori adesso, così la donna sta pensando di partire: ci dice che l’Algeria sta mandando aiuti e degli aerei per riportare la propria gente a casa. Partiranno anche lei e la sua famiglia, anche se perderanno i quattro mesi di affitto anticipati e la caparra. “Qui ci abbiamo provato, ma continuiamo a pagare sempre. Alla fine non ci rimane più niente”.

Un funzionario del comune sostiene che a Carpi ci siano circa 200 campi spontanei. Qui non stanno arrivando aiuti, probabilmente nella speranza che la gente se ne vada, perché – dicono – le case sono agibili. Eppure le scosse sono ancora frequenti ed ogni volta bisognerebbe verificare da capo la tenuta degli edifici.

In questo accampamento vogliamo interagire con la popolazione cercando insieme il modo migliore per organizzare le cose. Ogni comunità o nazionalità ha individuato un referente, insieme si decide come contarsi per avere un’idea delle necessità e dei numeri. Portiamo materiali dai magazzini di Cavezzo e Fossoli, due volte al giorno. Lo spaccio popolare alla sera viene letteralmente assalito, parliamo con la gente per trovare il modo di far arrivare il necessario a tutti e non solo ai più veloci. Anche qui è in atto un processo di cooperazione, lentamente si costruiscono legami e interazioni, si sperimentano metodi di solidarietà tra pari e si gettano le basi per un’altra esperienza di autogestione.

Sgomberare gli accampamenti spontanei
L’impressione che abbiamo è che a poco a poco la gestione dell’emergenza verterà sulla chiusura degli accampamenti spontanei e l’accentramento della popolazione nei campi della Protezione Civile. Ci ha contattati un gruppo di psicologi del Comitato 3:32, che si formò a l’Aquila dopo il terremoto del 2009. Ci dicono di aver dato la propria disponibilità per attività di supporto nei campi della Protezione Civile, chiedendo se potevano essere utili. Pare che la risposta sia stata “certo, abbiamo bisogno di psicologi, soprattutto ora che inizieranno gli sgomberi”. In sostanza sembra che le direttive dall’alto fossero di iniziare, a partire da lunedì prossimo, a smantellare gli assembramenti autogestiti, cominciando dalla zona di Correggio. Stiamo tenendo monitorata la situazione, anche se ad oggi pare che l’allarme sia rientrato grazie all’immediata attivazione di altre amministrazioni comunali, associazioni e giornalisti. Saremo al fianco della popolazione nel caso in cui ci verrà richiesto, intanto teniamo gli occhi ben aperti.

Cavezzo