In seguito alla nostra denuncia (http://sosrosarno.org/news/item/159-11-gennaio-2014-giornata-di-sostegno-alla-resistenza-contadina-e-bracciantile.html),
COOP risponde con argomenti prevedibili, spostando il problema invece di affrontarlo:
COOP risponde con argomenti prevedibili, spostando il problema invece di affrontarlo:
L'unica
risposta che coop può dare e non dà mai è QUANTO concretamente ed esattamente
vengono pagati al produttore sul campo - non a intermediari vari ed eventuali,
locali o nazionali - i frutti venduti sui banchi dei suoi esercizi.
Poco importa che si tratti di Rosarno o di
Corigliano, della piana di Gioia Tauro o della Sibaritide, quando sono identici
i meccanismi che attraverso l'imposizione dei prezzi di vendita alla fonte
implicano lo strozzamento della piccola agricoltura e il ricasco sull'ultimo
anello, i braccianti, del peso enorme di tutta la catena di sfruttamento e
speculazione che dai campi arriva fino ai banchi dei supermercati.
Ancora poco importa che si tratti di agrumi
o di pomodoro, di Calabria o di Sicilia o di Puglia e Campania, di fresco
o di prodotto lavorato nei conservifici... il meccanismo è uguale. Il male
parte sempre dalla testa!
Dire che COOP non compra più a Rosarno è molto grave.
In ossequio al sensazionalismo giornalistico demonizzante COOP vorrebbe "cacciare dal paradiso" dei suoi canali di distribuzione i cattivi rosarnesi e continuare allo stesso identico modo in zone come Corigliano e la Sibaritide in generale - l'unica altra da cui possono rifornirsi - in cui conosciamo come, mutatis mutandis, la sostanza dello sfruttamento bracciantile non cambi.
È ancora più grave che si risponda
criminalizzando un territorio di frontiera, che vive nell'abbandono totale da
parte delle istituzioni un fenomeno imponente di disagio sociale stagionale che
si somma a quello già presente in un'area depressa come questa.
Demonizzare chi sta coi piedi nel fango per
lavare la coscienza di chi, in alto, porta le responsabilità di governo
dell'intera filiera è una professione troppo facile e consueta, per chi come
COOP mette insieme il fare trade e il made in Italy fabbricato sul sudore dei
moderni servi.
Allo stesso scopo e non altro servono i
protocolli che COOP fa firmare ai produttori come pure gli attestati, quando
non prevedono a premessa l'equità dei
prezzi riconosciuti ai produttori e la trasparenza per i consumatori.
Questa l'unica "responsabilità sociale" utile verso chi, penultimo e
ultimo anello della catena, piccoli contadini e braccianti, ne sopporta
tutto il peso.
L'aritmetica viene prima degli attestati di Consumers
International e i disciplinari
SA8000. Poco valgono i controlli di carta, quando basta non segnare le giornate
per sfruttare manodopera sostanzialmente a nero anche se formalmente impiegata.
Senza i numeri, le garanzie di COOP non
hanno alcun fondamento.
Si legge in un comunicato ufficiale diramato
dall'azienda che "Nel 2010 è stato ulteriormente intensificato il presidio
sulla filiera delle clementine in Calabria ...
anche nelle campagna 2011/2012/2013, pur in assenza
del clamore mediatico, abbiamo proseguito con le verifiche e col rilevare
e risolvere i problemi che eventualmente si presentano, perché dietro al
marchio Coop l’impegno è concreto e continuo"
BENE! Ci
dicano allora una volta per tutte quanto viene pagata ai produttori, sul campo,
di norma, al di là delle eccezioni di Natale, la frutta che COOP vende nei suoi
esercizi.
O meglio, se per "riservatezza" non si vogliono rivelare queste
informazioni, si creino seriamente canali di commercializzazione etica in cui,
dietro garanzie di assunzione regolare e regolare retribuzione della
manodopera, si pratichi un prezzo davvero equo e sostenibile ai produttori e si
realizzi la trasparenza esponendo negli esercizi quanto loro viene riconosciuto
e quanto il margine per COOP.
RESTIAMO
A DISPOSIZIONE PER QUALUNQUE CONFRONTO…
L’11
GENNAIO A ROMA, LIVORNO, FIRENZE, BOLOGNA, E MILANO TUTTI DAVANTI ALLA COOP