mercoledì 18 giugno 2014

[SALUZZO] note a caldo sulle proteste di ieri al Foro Boario




Il calo delle temperature di questi giorni non ha certo raffreddato gli animi dei lavoratori bracciantili e dei disoccupati alla ricerca di un salario di sussistenza che stanno convergendo su Saluzzo per l'imminente inizio della stagione di raccolta, soprattutto ora che si palesa la continuità della nuova giunta comunale con la precedente, per la mancanza di volontà nell'affrontare dignitosamente il bisogno abitativo di chi approda in queste campagne.

Il campo di accoglienza della Caritas, come era prevedibile, ha già esaurito le sue disponibilità. 210 posti in tende simili a quelle utilizzate nei campi profughi o per far fronte a disastri ambientali, laddove l'anno scorso sullo stesso suolo era sorto un campo senza barriere e limitazioni, in cui avevano vissuto fino a 700 lavoratori e disoccupati. Il campo di container della Coldiretti, invece, non è ancora stato montato, poichè l'interesse padronale coincide solamente con la massimizzazione dei propri profitti e se la stagione di raccolta a pieno regime inizierà più avanti, perché utilizzare il proprio capitale ora che non è produttivo? Nel frattempo, il padronato può attingere al bacino di manodopera già arrivato nelle campagne, scaricando sui lavoratori stagionali stessi e sul terzo settore il reperimento ed il costo dell'alloggiamento.

Lo spettro del “campo”, che nel nostro paese viene comunemente usato per governare situazioni di “eccezione” (basti pensare alle politiche dei “campi nomadi”, al dispositivo dei CIE e dei CARA, ai campi creati in seguito a diversi tipi di calamità, etc.), appare sempre più una forma di contenimento temporale, oltre che spaziale, della forza-lavoro
. A Saluzzo, ad esempio, l'esistenza di più campi nelle zone periferiche della città prefigura un modello di inclusione ultra-differenziale dei lavoratori stagionali provenienti dall'Africa occidentale: campo-container per i lavoratori impiegati a tempo pieno; campo-tende dove far sostare la manodopera “in eccesso” che resterà in attesa di essere impiegata durante i picchi di raccolta; esclusione e respingimento di tutti gli “inutili”.

lunedì 16 giugno 2014

[FOGGIA] fuori dal ghetto?

Una storia che si ripete, quella che sta andando in scena in queste settimane, e che si snoda attorno all’ormai celebre Grand Ghetto di Rignano Garganico (FG) una baraccopoli sorta alla fine degli anni Novanta e abitata prevalentemente da lavoratori agricoli di origine africana, attualmente sotto minaccia di sgombero. Anzi, di ‘svuotamento’, secondo gli equilibrismi linguistici delle istituzioni pugliesi che, dopo anni di quasi totale silenzio, si stanno attivando con un progetto dal nome e dai contenuti anch’essi piuttosto funambolici: ‘Capo Free, Ghetto Off’.

Lo scandalo scatenato oltralpe da un documentario dell’emittente France2, che denunciava il grave sfruttamento che si cela dietro diversi prodotti agroalimentari commercializzati da alcune catene di supermercati francesi, ha senz’altro sortito qualche effetto. E lo stesso si può dire dei servizi di un altro gigante mediatico come la BBC e delle iniziative di boicottaggio avvenute in Norvegia e Gran Bretagna. La domanda potrebbe dunque farsi strada tra i più cinici: alle istituzioni sta davvero a cuore combattere lo sfruttamento, oppure il loro obiettivo principale è quello di salvaguardare l’immagine della regione e delle imprese locali nel mondo?

Stando alle dichiarazioni della giunta regionale, quello da poco approvato è un piano di azione sperimentale per un’accoglienza dignitosa e il lavoro regolare dei migranti in agricoltura che prevede, tra l’altro, l’allestimento di ben cinque tendopoli della Protezione civile entro il primo luglio, per un totale di 1250 posti disponibili fino al 30 settembre. I fondi (circa un milione e trecentomila euro, a giudicare dalla delibera dello scorso 2 aprile – che però non dà indicazioni molto chiare a riguardo) saranno probabilmente stornati da quelli precedentemente utilizzati per la fornitura di acqua e bagni chimici e per il presidio sanitario di Emergency (in questi anni, una volta alla settimana, un solo poliambulatorio mobile ha fornito cure di base a un insediamento in continua espansione, che nel picco della stagione ospita fino a 1500 persone). A quanto sembra, solo tre dei cinque siti sono stati finora individuati: l’area servizi dell’ex-aeroporto militare di Amendola; un sito in località Vulgano; il terreno adiacente all’albergo diffuso che si trova nel comune di San Severo. Eppure, finora, non c’è l’ombra di una tenda.

domenica 1 giugno 2014

UN ALTRO MORTO A ROSARNO, UN'ALTRA VITTIMA DEL CAPITALE E DELL'INDIFFERENZA.



Non ne parla nessuno, ma un lavoratore di Rosarno, Jhonn, un giovane ragazzo Ganese, ha perso la vita nella notte   del 26 maggio
, investito sulla sua bicicletta, in una delle strade che collegano i campi di raccolta alle abitazioni di fortuna. A Rosarno si uccide ancora, a Rosarno come un anno fa per la strada si muore, con la complicità delle istituzione locali che hanno ridotto le sue strade a percorsi dissestati, non illuminati, e privi completamente di marciapiedi e piste ciclabili, quelle strade che spesso sono anche i percorsi dello sfruttamento verso un lavoro nei campi dove migliaia di persone continuano ancora a lavorare per quattro soldi sotto la costante minaccia della Bossi-Fini, del padrone e dei suoi caporali, e di una guerra tra poveri alimentata dalla crisi. Si sopravvive nascosti o nelle poche tendopoli, e si muore di freddo in inverno e di caldo d’estate, si muore a lavoro, si muore nella speranza di trovarlo, si muore nelle strade.
Non si sa niente di questa tragica morte, nessuno scrive, nessuno parla, c’è solo una foto, una bicicletta al suolo con tanto di indicatori di posizione a palesarne il passaggio, le due luci fanno male, fanno pensare che non sia stato impossibile vedere, che il razzismo sia ancora una volta il vero colpevole.
Il problema dei braccianti migranti che muoio per strada è a Rosarno un problema molto sentito, tantochè il 17 Marzo del 2013 i lavoratori hanno spontaneamente organizzato, assieme a una rete di realtà antirazziste e solidali, un corteo che chiedesse più sicurezza nelle strade e più rispetto verso di loro.
Nella “civilissima” Italia del 2014 i lavoratori hanno dovuto manifestare affinchè nessuno muoia investito in strade insicure o per motivi di odio razziale.

BRIGATE DI SOLIDARIETA' ATTIVA