Ultimo giorno di un mese che ha sicuramente cambiato la mia vita, e quella di tanti su quest’isola. Sono su questo pezzo di roccia in mezzo al mediterraneo da due settimane, e solo adesso comincio a capire piano piano quello che mi succede attorno.
Mi scuso se non vi ho informato prima, ma una strana miscela di confusione, delusione e rabbia ha accompagnato gli ultimi giorni, e solo adesso riesco ad avere la mente fredda per buttare giù due righe.
La difficoltà più grande è stata realizzare che le violazioni sistematiche dei diritti umani, sanciti da varie convenzioni che l’Italia ha firmato e si è impegnata a far rispettare, sono istituzionalizzate e ormai parte delle procedure delle forze dell’ordine. Nel colpevole e triste silenzio delle organizzazioni, governative e non, che lavorano nei centro.
Da quando sono arrivato ci sono stati due sbarchi, il primo la sera del mio arrivo, domenica 17, e l’altro ieri nel tardo pomeriggio. In entrambi i casi si è trattato di piccole imbarcazioni con massimo una trentina di passeggeri, portati subito a contrada Imbriacola per le procedure di identificazione, o detenzione che dir si voglia. Il primo paradosso del centro di detenzione di Imbriacola è che la sua classificazione è CPSA (centro di primo soccorso ed accoglienza), e non un CIE. Per legge in un centro del genere, durante il tempo necessario all’identificazione, le persone dovrebbero essere libere di muoversi, uscire, vivere. Quello che succede invece (in barba all’articolo 13 della costituzione italiana che limita a 48 ore il tempo per il quale le forze dell’ordine possono privare della libertà personale un individuo) è che i migranti vengono trattenuti per tempi che arrivano anche a due mesi, su decisioni totalmente arbitrarie delle forze dell’ordine. Detenuti senza accusa, senza condanna, senza giudizio ne giudice, in perfetta antitesi con la costituzione che i nostri “leader” politici non perdono occasione di glorificare. Inoltre nel centro gli immigrati sono privati, per paura di autolesionismo, di ogni oggetto potenzialmente pericoloso, cioè più o meno di tutto. E così le loro giornate si riducono in interminabili lotte contro la noia ed il sole torrido, da alleviare al massimo con qualche sigaretta ed un pallone. Com’è facile immaginare, soprattutto nel caso dei minori, la tensione spesso si alza e sfocia in scontri con le forze dell’ordine e pestaggi, com’è successo due giorni fa quando alcuni minori sono stati spogliati per una perquisizione e picchiati (maggiori dettagli su http://fortresseurope.blogspot.com/). Da indiscrezioni sembra che gli agenti responsabili siano già stati trasferiti, e alle giovani vittime consigliato di aspettare tempi migliori per sporgere denuncia. Stamattina, in segno di protesta, ci siamo radunati fuori dal centro Imbriacola e fatto una dimostrazione per far vedere che la società civile controlla costantemente e si indigna. Allegherò al più presto il video che stiamo montando.
Per i prossimi giorni sono previsti sbarchi, in gran numero, e la guardia costiera è già tutta in mare aperto, e così la mega nave da crociera Moby con cui vengono di solito trasferiti nei vari CIE in giro per l’Italia. Vi terrò tempestivamente informati su tutto.
Con un paio di considerazioni, magari scontate, voglio chiudere questo mio primo report.
La prima è che la permanenza prolungata dei migranti oltre i tempi previsti dalla legge, dalle convenzioni umanitarie e dalla decenza si spiega in realtà con quello che è il grande “business dell’accoglienza”. Per ogni giorno di permanenza nel centro lo stato italiano paga la cooperativa sociale Lampedusa Accoglienza cifre che vanno dai 40 ai 50 euro per ogni migrante, che allo stato attuale (circa 250 persone) gli fruttano dai 10.000 ai 12.500 euro al giorno. Senza contare che adesso i due centri (perché Lampedusa Accoglienza gestisce anche il centro dell’ex base nato Loran) sono quasi vuoti rispetto alle loro capienze. A pieno carico conterrebbero 1100 persone circa, per un guadagno di 44.000 euro al giorno, 1.320.000 euro al mese. Tasse nostre ovviamente.
Potete ben capire cosa succederebbe se, in un periodo di sbarchi meno frequenti, i centri si svuotassero (come dovrebbe succedere ad un CPSA, luogo di transito da massimo 48 ore), fermando un business milionario. I centri vengono volutamente tenuti pieni, perché sono macchine di soldi, sulla pelle dei migranti, e alla faccia delle nostre tasche.
La seconda è la mia personale considerazione (ripeto, strettamente personale) sull’operato delle organizzazioni umanitarie che lavorano nel centro. In queste settimane, infatti, i miei dubbi sulla loro identità ed indipendenza hanno lasciato spazio al disgusto e alla tristezza. Molte di loro sopravvivono grazie a fondi statali e partecipano alle tavole rotonde alle quali pochi pezzi grossi giocano con la vita di milioni di disperati. Un po’ come il grande Chaplin col mappamondo ne Il grande dittatore, se me lo concedete. Queste organizzazioni, gli unici attori autorizzati ad entrare nei centri, spesso invece di permettere al resto della società civile (arbitrariamente tenuta fuori e all’oscuro di tutto) di conoscere e solidarizzare con i migranti, di denunciare e lottare, gestiscono tutto tra di loro. E’ il prezzo che devono pagare per lavorare dentro, un ricatto che impedisce di lottare davvero, oppure di farlo, ma con pistole ad acqua. Spesso con attenzione tengono dentro informazioni scomode, proteggono abusi ed ingiustizie, in nome dell’obiettivo comune: mantenere la calma tra chi è fuori ed ignora. Perché tutto va già più o meno come deve andare, no?
Non vi ho detto nulla del Lampedusa in Festival, che con i ragazzi di Askavusa e Ciski abbiamo organizzato dal 19 al 23 Luglio, solo perché è stato semplicemente di quanto di più bello ho mai organizzato in vita mia. I ragazzi dell’organizzazione sono persone splendide, vive, che sognano un altro mondo e con le loro azioni quotidiane lo stanno già creando.
Mi sono sentito come un fratello, e li ringrazio tutti, questa è la Lampedusa che accoglie, accudisce, accarezza e ama. Ma per davvero.
Un altro mondo non solo è possibile, ma già in arrivo. Nei giorni di quiete posso sentire il suo respiro (Arundhati Roy).
Restiamo umani