Rimangono
solo resti carbonizzati di una parte del Ghetto di Rignano.
L'incendio provocato da una candela è divampato rapidamente nella
fatiscenza di plastica e legno. Immediatamente è partita le gestione
di questa emergenza nella già tragica quotidianeità della vita al Ghetto.
A
prescindere infatti dalle cause accidentali dell'incendio, non deve
essere dimenticato come questo grosso insediamento di braccianti
stagionali (e stanziali) sia lo specchio dello sfruttamento dei
lavoratori stranieri in tutta la zona della Capitanata.
L'incendio
ha squarciato l'indifferenza stratificata di una situazione di
emarginazione ed estremo degrado presente ormai dalla fine degli anni
novanta, su un territorio trasformato e stravolto dalla coltivazione
intensiva del pomodoro effettuata su vasti latifondi.
Ciò
produce dinamiche strutturate di gestione della forza lavoro presente
soprattutto nei picchi della raccolta, nei quali si palesa con
estrema evidenza una normalità fatta di caporalato, ritmi di lavoro
disumani, salari da fame (con l'utilizzo endemico del cottimo) in una
lunga catena di difficile lettura. Si
sovrappongono infatti diversi livelli di comando che a partire dalle
aziende di trasformazione del pomodoro appannaggio dei casertani - che realizzano i veri profitti dallo sfruttamento dei corpi e dei
territori -, e correndo lungo una teoria di figure intermedie (dal
proprietario terriero fittizio, al caporale, al caposquadra), rendono
di difficile comprensione la struttura dello sfruttamento. Un
sistema intricato e rarefatto di scatole cinesi nei quali è facile
capire l'inizio e la fine della catena, ma è molto più complesso
comprendere e separare i passaggi intermedi.
Questo
sistema, diffuso in tutta la produzione agricola, è agevolato da
politiche migratorie, che altro non sono che norme sul lavoro che
istituiscono nei fatti il reato di disoccupazione, estremamente
funzionali all'istituzione di una figura di lavoratore debole e
ricattabile.
In
questo contesto la ricattabilità produce emarginazione e isolamento,
terreno fecondo anche per la creazione di vere e proprie zone franche
in cui diventa facile gestire altri affari: dallo spaccio allo
sfruttamento della prostituzione.
Il
Ghetto di Rignano è la più conosciuta di queste zone. E' situato al
confine di tre comuni diversi (Rignano, Foggia e San Severo) e su
terreni di diversi proprietari.
E'
estremamente strutturato, con una propria economia informale, fulcro
strumentale alla gestione del lavoro, in cui il controllo interno è
regolato da dinamiche esterne. Un capillare controllo sociale su i
lavoratori e su tutti gli abitanti dell'insediamento in cui oltre
allo sfruttamento del lavoro bracciantile si sommano spaccio e
sfruttamento della prostituzione.
Intervenire
nel Ghetto vuol dire provare a rompere l'isolamento funzionale allo
sfruttamento della forza lavoro resa ancora più ricattabile dalla
crisi economica generale che settore agricolo trova le sue
contraddizioni più manifeste. Partendo dai bisogni materiali più
concreti come l'insegnamento della lingua italiana e l'orientamento
legale si sta tentando di rendere possibile un lento e progressivo
processo di esigibilità dei propri diritti e di emancipazione dal
basso.
Superando
quindi ogni forma di assistenzialismo si cerca di dare spazio alla
possibilità di aggregazione tra braccianti accomunati dalle medesime
condizioni di lavoro a prescindere dalle proprie nazionalità.